Milano offre il più ampio programma di mostre e appuntamenti culturali della penisola. In questa pagina puoi trovare una selezione sempre aggiornata delle migliori mostre di Milano che Milanoguida ha scelto per te, tra le quali spiccano quelle organizzate da Palazzo Reale. Trovi informazioni pratiche, una breve descrizione della mostra e le visite guidate disponibili, sempre condotte da guide turistiche abilitate e laureate in storia dell'arte per garantirti la massima qualità nella scoperta delle mostre e dei grandi tesori del panorama culturale di Milano.
Milanoguida: le visite guidate alle migliori mostre di Milano
La mostra di Robert Doisneau al Museo Diocesano di Milano è una grande antologica dedicata al celebre fotografo francese che con grande sensibilità e ironia ha saputo raccontare la società parigina dagli anni trenta agli anni sessanta del Novecento.
Organizzata in collaborazione con l'Atelier Robert Doisneau a Montrouge, l'esposizione milanese propone 130 scatti in bianco e nero che consentono di ripercorrere più di cinquant'anni di carriera di colui che, assieme a Henri Cartier-Bresson, è considerato uno dei padri della fotografia umanista francese. Attraverso un allestimento di carattere tematico la mostra evidenzia i soggetti più ricorrenti nella fotografia di Doisneau, dall'amore ai giochi dei bambini, dalla guerra alla liberazione.
Con il suo obiettivo attento a catturare i gesti e le emozioni degli abitanti parigini, Doisneau si muove tra le strade del centro e della periferia della capitale francese restituendoci l'immagine di una metropoli ormai scomparsa. Tra i suoi soggetti, oltre a coppie di innamoranti, bambini e passanti casuali, anche amici scrittori e artisti, come Prévert, Malraux, Picasso e Giacometti.
La mostra di Robert Doisneau al Museo Diocesano di Milano condurrà il visitatore in viaggio nel tempo alla scoperta della società parigina del Novecento, che il grande fotografo francese seppe descrivere con ironia, immediatezza e grande efficacia comunicativa come in uno dei tanti capolavori esposti a Milano, il celebre Le baiser de l’Hôtel de Ville del 1950.
Dove: Milano, Fabbrica del Vapore
Quando: 12 maggio - 19 novembre 2023
Orari: lunedì, martedì, mercoledì: 10.00 – 20.00;
Giovedì, venerdì, sabato e domenica: 10.00 – 22.00
Orario estivo (in vigore nel periodo dal 16 luglio 2023 al 31 agosto 2023): da martedì a domenica: 12.00 – 22.00; lunedì: chiuso
La mostra "Amazônia" di Sebastião Salgado alla Fabbrica del Vapore di Milano conduce il visitatore attraverso lo spettacolare ambiente della foresta amazzonica attraverso gli affascinanti scatti del celebre fotografo brasiliano, impegnato negli ultimi anni a documentare la vegetazione e gli abitanti di un contesto paesaggistico che rischia sempre di più l'estinzione.
L'esposizione, che conta oltre 200 fotografie, si concentra su due grandi temi, le vegetazione dell'Amazzonia, e la vita delle popolazioni indigene. La prima sezione raccoglie spettacolari vedute aree della foresta, cui si affiancano sorprendenti immagini di fiumi volanti, di piogge torrenziali e delle Anavilhanas, arcipelago di oltre quattrocento isole dalle forme più svariate che emergono dalle acque scure del Rio Negro. Nella seconda sezione diventano protagonisti le popolazioni indigene che Salgado ha immortalato durante i suoi viaggi rivelandone costumi e tradizioni. Tra queste spiccano i Korubo, una tribù particolarmente isolata, che solo la spedizione di Salgado del 2017 ha consentito di conoscere meglio.
A rendere ancora più suggestiva l'esposizione e a favorire una totale immersione nell'ambiente amazzonico concorre la traccia audio creata da Jean-Michel Jarre e ispirata ai suoni della foresta.
La mostra "Amazônia" di Sebastião Salgado allestita presso la Fabbrica del Vapore di Milano è un'occasione imperdibile per immergersi nell'affascinante e selvaggio contesto della foresta brasiliana, per lasciarsi affascinare dalla potenza degli scatti di Salgado e per riflettere sull'importanza della preservazione di ambienti sempre più minacciati dalla deforestazione indiscriminata.
La mostra "Banksy. Painting Walls" all'Orangerie della Villa Reale di Monza porta in Italia per la prima volta tre muri dipinti dall'artista britannico tra il 2009 e il 2018. Si tratta di tre interventi di street art, pensati per una destinazione pubblica, che sono stati prevelati, decontestualizzati e trasformati in veri e propri oggetti d'arte.
Protagonisti dei tre muri sono tre ragazzini, raffigurati in composizioni che vogliono sensibilizzare lo spettatore nei confronti delle problematiche dell'età contemporanea, In Season’s Greeting Banksy denuncia l'inquinamento della città Port Talbot, in Galles - dove l'opera è stata eseguita - rappresentando un bambino che spalanca bocca e braccia per accogliere la neve, che altro non è che la cenere proveniente da un cassonetto incendiato. In Heart Boy un altro ragazzino ha appena dipinto sul muro, con un pennello ancora sgocciolante, un cuore rosa, simbolo della richiesta di pace e amore. Infine in Robot/Computer Boy Banksy riflette sul tema del rapporto uomo-macchina e della disumanizzazione ritraendo un bambino travestito da robot che ha appena disegnato un robot stilizzato.
I tre muri sono accompagnati in mostra da altre opere originali dell’artista e da un'ampia raccolta di serigrafie, tra cui la celebre Girl with Balloon, al fine di testimoniare la capacità di Banksy di dirottare l'attenzione del pubblico su tematiche importanti quali il cambiamento climatico, le disuguaglianza sociali, i conflitti bellici attraverso immagini spiazzanti ed efficaci.
La mostra di Banksy all'Orangerie della Villa Reale di Monza offre pertanto un'immersione a 360 gradi nell'opera di un artista tra i più sensibili, dissacranti e dirompenti dell'arte contemporanea mondiale.
La mostra di Van Gogh al Mudec di Milano rinnova la collaborazione tra le istituzioni museali milanesi e il museo Kröller-Müller di Otterlo per riportare in città le opere del grande pittore olandese offrendo un'occasione di approfondimento sull'influenza esercitata dall'arte giapponese sui dipinti dell'artista.
Grazie alla fine dell'isolamento commerciale avvenuta durante la Restaurazione Meiji del 1868, numerose stampe giapponesi giunsero in Europa, dove trovarono un'occasione di diffusione nelle esposizioni universali del tempo. Si affermò così il Giapponismo, fenomeno collezionistico che vide scrittori, critici d'arte e pittori acquistare stampe ukiyo-e. Tra i protagonisti del Giapponismo spicca la figura di Van Gogh, che grazie all'incontro con le stampe di Hiroshige e Utamaro, introdusse nel proprio repertorio figurativo immagini di contesti orientali rielaborati secondo la propria sensibilità.
Attraverso il confronto con dipinti di artisti contemporanei, quali Jean-François Millet, Maurice Denis e Paul Signac e con stampe originali giapponesi, l'esposizione ripercorre la carriera di Van Gogh dagli esordi olandesi, segnati da una sensibile rappresentazione della vita contadina, agli anni francesi, durante i quali maggiormente si avverte l'influenza dell'arte giapponese, non solo sotto forma di ripresa dei soggetti dell'ukiyo-e, ma anche e soprattutto come assimilazione dei principi dell'arte orientale, quali le campiture uniformi e la rappresentazione bidimensionale.
La mostra di Van Gogh al Mudec di Milano offre un'occasione imperdibile per osservare l'arte del maestro olandese sotto un nuovo punto di vista e per approfondire la conoscenza delle relazioni culturali tra Oriente e Occidente.
La mostra di Giorgio Morandi a Palazzo Reale a Milano è un'importante monografica dedicata a uno dei principali artisti italiani del Novecento che, senza partecipare ad alcun gruppo artistico, ma rimanendo aggiornato sulle novità del proprio tempo, ha saputo dare vita a una produzione coerente e al contempo sperimentale, segnata dalle celebri nature morte, dagli assolati scorci paesaggistici e dagli essenziali autoritratti.
Pur essendo vissuto per tutta la propria esistenza tra la casa bolognese di via Fondazza e quella sull'Appennino a Grizzana, Morandi dimostrò un grande interesse verso le esperienze artistiche e le occasioni espositive del proprio tempo, maturando rapporti di profonda amicizia con critici e direttori di musei e mostre, che favorirono l'apprezzamento della sua opera all'estero.
Influenzato dalla poetica straniante e contemplativa della Metafisica di De Chirico e dalla ricerca formale e geometrizzante di Cézanne, Morandi diede vita a quadri di piccole dimensioni aventi come soggetto composizioni di oggetti semplici e quotidiani, quali barattoli, ciotole e bottiglie, ogni volta rielaborate da un punto di vista spaziale e cromatico per studiarne le possibilità percettive.
Organizzata con la prestigiosa collaborazione scientifica del Museo Morandi di Bologna, la mostra di Giorgio Morandi a Palazzo Reale a Milano propone una ricca selezione di opere provenienti da collezioni italiane e internazionali che permetterà di scoprire il processo mentale e creativo che si nasconde dietro le sue famose nature morte, rivelando dietro l'apparente semplicità delle immagini quella che Morandi stesso chiamava "l'essenza delle cose".
La mostra di Gabriele Basilico a Palazzo Reale a Milano ricorda, a dieci anni della scomparsa, il più grande fotografo di paesaggi urbani, che ha saputo descrivere con sguardo analitico e partecipato le trasformazioni delle città tra il Novecento e gli anni Duemila, dalla sua amata Milano alle grandi metropoli del mondo.
Laureatosi in architettura presso il Politecnico di Milano, Basilico abbandona presto la carriera di architetto per quella di fotografo senza perdere l'interesse per le soluzioni costruttive e urbanistiche che emerge fin dai primi lavori come il volume del 1982 Milano. Ritratti di fabbriche, che segna il suo primo successo internazionale. Il riconoscimento del suo lavoro è attestato dall'affidamento da parte del governo francese della tematica “Bord de Mer”, all'interno della Mission Photographique de la DATAR, un progetto di documentazione del cambiamento del paesaggio.
Tra le trasformazioni immortalate dall'obiettivo di Basilico figurano anche quelle procurate dalla guerra, come nel memorabile progetto sulle devastazioni della città di Beirut del 1991. Da allora Basilico continuerà ininterrottamente a raccontare l'evoluzione dell'età contemporanea, dal mondo industriale a quello postindustriale, attraverso scorci e panorami delle grandi metropoli mondiali, da Berlino a Roma, da Rio de Janeiro a Shangai, da Istanbul a Mosca.
Realizzata con la collaborazione dell’Archivio Basilico, la mostra di Gabriele Basilico a Palazzo Reale a Milano espone i più importanti progetti del maestro rivelandoci l'unicità del suo stile, disinteressato a cogliere l'attimo e invece attento a restituire la complessità dello spazio urbano con uno sguardo contemplativo, in immagini prive della figura umana che evocano le atmosfere metafisiche delle città di De Chirico e Sironi.
La mostra di El Greco, allestita presso le sale di Palazzo Reale a Milano, propone un affascinante approfondimento su uno dei più originali interpreti del Manierismo europeo, che ha lasciato un profondo segno sull'arte dei maestri dell'Ottocento e Novecento, da Delacroix a Picasso.
All'anagrafe Domínikos Theotokópoulos, El Greco nasce a Creta, all'epoca facente parte del grande dominio della Repubblica di Venezia. Dopo gli esordi come pittore di icone, compie un viaggio in Italia, a Venezia e Roma, fondamentale per l'elaborazione del suo stile. In particolare sono l'uso del colore di Tiziano, la teatralità delle composizioni di Tintoretto e la sinuosità delle figure di Parmigianino a indirizzare la produzione di El Greco verso uno stile drammatico ed espressivo, particolarmente adatto ad esprimere la sensibilità religiosa della Spagna del Cinquecento.
È infatti in Spagna, prima a Madrid - dove riceve un incarico per l'Escorial - e poi a Toledo che El Greco raggiunge la sua maturità artistica, segnata dalla predominanza del colore e da una tendenza alla trasfigurazione delle figure dei dipinti sacri in funzione espressiva che lo rendono uno dei più originali interpreti del Siglo de oro spagnolo.
Scarsamente apprezzata in età barocca, per il suo antinaturalismo tipicamente manierista, l'arte di El Greco è stata riscoperta tra Ottocento e Novecento, diventando un punto di riferimento per grandi artisti del calibro di Delacroix e Manet e fonte di ispirazione per le avanguardie storiche, dall'Espressionismo al Cubismo di Picasso.
Concentrandosi sul periodo italiano dell'artista greco, la mostra di El Greco a Palazzo Reale a Milano ripercorre la produzione artistica di un pittore che ha saputo incarnare uno dei momenti più importanti della storia spagnola, rielaborando gli influssi della pittura bizantina e del Rinascimento italiano in un linguaggio drammatico ed espressivo, ancora oggi fortemente evocativo.
La mostra "Rodin e la danza" allestita presso il Mudec di Milano è un'imperdibile occasione per scoprire una parte della produzione scultorea e grafica dell'artista francese poco nota al grande pubblico.
Attratto dalla rappresentazione dei movimenti e dell'energia del corpo sin dai tempi dei suoi esordi e del cantiere della Porta dell'Inferno che portò alla realizzazione di capolavori quali Il bacio e Il pensatore, all'inizio del Novecento Auguste Rodin trovò nuovo stimolo per le sue ricerche nella danza.
La visione delle ballerine cambogiane presenti all'Esposizione coloniale di Marsiglia del 1906 e l'incontro a Parigi con alcune delle personalità più rivoluzionarie del mondo della danza dell'epoca, quali Loïe Fuller, Isadora Duncan o Vaslav Nijinski, spinsero Rodin a tradurre sotto forma di disegni e di piccole sculture i flessuosi movimenti delle esibizioni cui aveva assistito. Nacque così la serie dei Mouvements de danse, composta da bozzetti in gesso e terracotta in cui i ballerini saltano, si allungano e si flettono con armonia, eleganza ed energia. In origine destinata alla visione di un gruppo ristretto di amici, la serie viene finalmente mostrata al grande pubblico grazie agli importanti prestiti concessi dal Musée Rodin di Parigi.
La mostra "Rodin e la danza" al Mudec di Milano ci accompagna alla scoperta di un lato inedito della produzione del celebre scultore francese facendoci compiere un viaggio nel tempo nella Parigi della Belle Époque, quando corpi di ballo di origine orientale e rivoluzionari danzatori cambiarono per sempre la storia dell'arte coreutica.
La mostra di Francisco Goya, allestita presso Palazzo Reale a Milano, è un'occasione imperdibile per approfondire una delle personalità più affascinanti della storia dell'arte europea, originalissimo interprete delle grandi trasformazioni politiche e culturali avvenute tra la fine del Settecento e l'inizio dell'Ottocento, capace di lasciare un profondissimo segno sulle generazioni successive di pittori, da Manet a Sorolla.
Formatosi artisticamente a Madrid, negli anni in cui nella città spagnola operavano fianco a fianco il maestro del Neoclassicismo Anton Raphael Mengs e il massimo rappresentante del Rococò europeo Giambattista Tiepolo, Goya dimostra una spiccata predilezione per il pittore italiano, visibile nelle sue prime opere, caratterizzate da colori chiari e luminosi e da soggetti frivoli e disimpegnati. Già ai suoi esordi, Goya rivela un uso espressivo e vitale del colore e della pennellata che accompagnerà tutta la sua produzione, dai celebri ritratti dei nobili e dei monarchi spagnoli, alle immagini della guerra d'Indipendenza spagnola fino alle tarde Pitture nere, i drammatici dipinti murali eseguiti presso Quinta del Sordo, la residenza nella periferia di Madrid in cui Goya soggiorna prima di trasferirsi definitivamente in Francia nel 1823.
Organizzata in collaborazione con la Real Academia de Bellas Artes de San Fernando di Madrid, a cui Goya tentò invano di accedere prima di essere chiamato nel 1880 per meriti riconosciuti dopo la realizzazione dei cartoni per gli arazzi della Real Fabrica di Santa Barbara, l'esposizione presso Palazzo Reale ripercorre l'evoluzione artistica del grande pittore spagnolo evidenziando la versatilità della sua produzione, che spazia tra scene di vita mondana, ritratti, quadri di storia e graffianti rappresentazioni delle bassezze e della crudeltà dell'essere umano, quali quelle presenti nelle due serie di incisioni I disastri della guerra e i Capricci.
Indagando il pensiero di Goya, la sua concezione dell'arte e il suo approccio nei confronti della Storia, la mostra di Francisco Goya a Palazzo Reale a Milano ci porta a scoprire l'origine di un affascinante repertorio di immagini che oscillano tra frivolezza e impegno politico, razionalità e follia, sogno e realtà, immagini in grado di raccontare alla perfezione gli anni del passaggio dall'Illuminismo al Romanticismo e al contempo di descrivere ancora oggi tutte le contraddizioni del genero umano.
La mostra "Boldini, De Nittis et les italiens de Paris" al Castello di Novara rende omaggio ai più celebri artisti italiani che incontrarono il successo nella capitale francese tra la seconda metà dell'Ottocento e i primi anni del Novecento.
Grazie a prestigiosi prestiti di collezioni private e illustri istituzioni museali italiane, l'esposizione novarese trasporterà il pubblico nelle atmosfere della Belle Époque, un periodo nel quale Parigi diventa capitale internazionale dell'arte grazie all'attività di mercanti e galleristi, alla nascita delle esposizioni universali e all'affermarsi in pittura delle nuove tendenze del Realismo, che hanno in Gustave Courbet il massimo e più rivoluzionario interprete.
Lo stimolante clima artistico e le numerose occasioni espositive spingono molti artisti italiani a soggiornare e a trasferirsi a Parigi. Tra questi il ferrarese Giovanni Boldini, che dopo il contatto con il gruppo dei Macchiaioli, si afferma a Parigi assecondando le mode neosettecentiste del tempo per poi diventare il massimo interprete del ritratto mondano; il pugliese Giuseppe De Nittis, che dopo l'esperienza paesaggista della Scuola di Resina diventa il massimo cantore della Belle Époque; il veneziano Federico Zandomeneghi, vicino agli Impressionisti, al cui repertorio si avvicinerà su richiesta del mercante Paul Durand-Ruel.
Alternando sezioni monografiche a sale tematiche dedicate a più frequenti soggetti della pittura del tempo, la mostra "Boldini, De Nittis et les italiens de Paris" al Castello di Novara, ci catapulterà nell'affascinate ed elettrizzante clima della Parigi della Belle Époque.
In concomitanza con Bergamo e Brescia capitale italiana della cultura 2023, le Gallerie d'Italia di Piazza della Scala a Milano ospitano la mostra "Giovan Battista Moroni (1521-1580). Il ritratto del suo tempo", un'ampia retrospettiva dedicata a uno dei massimi interpreti della grande stagione artistica conosciuta dalle due città lombarde nel corso del Cinquecento.
Allievo del Moretto a Brescia, nei primi anni della sua attività Moroni fu impegnato nella città di Trento, durante gli anni del Concilio. Il contatto con Moretto e il clima controriformistico favorirono la produzione di soggetti religiosi di Moroni, che si distinse, tuttavia, per il suo grande talento di ritrattista, emerso definitivamente con l'attività bergamasca degli anni cinquanta. La frequentazione dell'élite culturale e dell'aristocrazia del tempo, cui si associano le commissioni da parte di borghesi, artigiani e mercanti, consentì a Moroni di rivelare la sua grande abilità di colorista e di profondo indagatore dell'animo umano.
Con un centinaio di manufatti artistici, tra dipinti, disegni, libri, oreficerie e stoffe, l'esposizione milanese restituisce un efficace spaccato della società lombarda dell'epoca, di cui Moroni restituì efficacemente desideri e ambizioni. Il confronto tra i lavori di Moroni e le opere dei contemporanei Lotto, Tiziano, Savoldo, Tintoretto e Veronese evidenzia l'ampiezza delle influenze della pittura delle Repubblica della Serenissima, di cui all'epoca facevano parte Bergamo e Brescia.
La mostra "Giovan Battista Moroni (1521-1580). Il ritratto del suo tempo" alle Gallerie d'Italia di Piazza della Scala consente di ammirare, raccolti per la prima volta insieme, capolavori di provenienza italiana e internazionale, di uno dei più grande ritrattisti dell'arte italiana di tutti i tempi.
La mostra di Giuseppe De Nittis a Palazzo Reale di Milano sarà un viaggio nella pittura di uno dei più grandi artisti italiani dell’Ottocento, particolarmente sensibile alle correnti del Verismo e dell’Impressionismo che seppe interpretare in chiave originale e personale.
Giuseppe Gaetano De Nittis nacque a Barletta nel 1846; rimasto orfano fin da piccolo, visse con i nonni paterni per poi iscriversi nel 1861, contro il volere della famiglia, all’Accademia di Belle Arti di Napoli. Qui però si rivelò uno spirito irrequieto, dall’indole insofferente alle regole e disinteressato alle nozioni e alle lezioni accademiche, tanto da venire espulso due anni più tardi per indisciplina.
Successivamente si dedicò alla pittura all’aria aperta, specializzandosi in riproduzioni di paesaggi partenopei e barlettani, fino al 1866, vero anno di svolta, quando a Firenze si avvicinò per la prima volta al movimento dei Macchiaioli. L’anno seguente si trasferì a Parigi dove si sposò con la parigina Léontine Lucile Gruvelle. L’apice della sua fama arrivò però nel 1874, comunemente indicata come la nascita dell’Impressionismo, con l’esposizione che si tenne presso lo studio del fotografo Nadar dove riuscì a presentare ben cinque tele. Lo stesso anno andò anche a Londra dove realizzò scene di vita della capitale inglese, mentre nel 1878 riscosse un enorme successo con l’Esposizione Internazionale parigina dove venne insignito della Legion d'onore, e la sua opera, Le rovine delle Tuileries, fu acquistata dal governo per il Museo del Lussemburgo.
De Nittis fu abile interprete nel rappresentare l’eleganza e la vivacità della vita moderna, realizzando vedute naturali e urbane, ritratti di donna e di città in via di costruzione, scorci di vita parigina o londinese, con stile impressionista, fotografando il mondo con lucidità realistica. Le mostra di De Nittis a Palazzo Reale a Milano, con un centinaio di opere provenienti dai più prestigiosi musei e collezioni pubbliche italiane e francesi, tra cui la Galleria d'Arte Moderna di Milano, propone un percorso espositivo che ci farà conoscere e apprezzare l’estro artistico di un eccelso pittore italiano, morto a soli trentotto anni.
La mostra di Giuseppe Pellizza da Volpedo alla Galleria d'Arte Moderna di Milano intende far conoscere al grande pubblico l'intensa carriera del celebre autore del Quarto Stato, la cui produzione pittorica - fatta eccezione per il capolavoro conservato alla Galleria d'Arte Moderna di Milano - è ingiustamento poco nota rispetto ai lavori degli altri grandi maestri del Divisionismo, da Giovanni Segantini a Gaetano Previati.
Formatosi presso le principali istituzioni artistiche della penisola, dall'Accademia di Brera di Milano all'Accademia di san Luca di Roma, fino alle accademie di Firenze e Bergamo, Giuseppe Pellizza intrattenne per tutta la vita un forte legame con il borgo natio di Volpedo, in provincia di Alessandria, dove trascorse buona parte della propria carriera ambientando i propri dipinti tra le vie e i luoghi a lui familiari. Benché ritiratosi a Volpedo, Pellizza si tenne sempre aggiornato sulle proteste che avvenivano in città e sui rivolgimenti del proprio tempo, grazie anche a letture di stampo socialista che favorirono la maturazione del pensiero politico che lo portò, in un lungo processo durato più di dieci anni, alla redazione dell'opera manifesto del Realismo sociale, il Quarto Stato.
Oltre ad omaggiare il grande capolavoro recentemente riallestito alla Galleria d'Arte Moderna di Milano, dopo la lunga permanenza al Museo del Novecento, la mostra milanese intende ripercorrere l'intera carriera dell'artista evidenziandone l'iniziale vicinanza ai modi dei Macchiaioli, dovuta all'apprendistato con Fattori, l'abilità di ritrattista, debitrice della formazione con Cesare Tallone, e l'evoluzione tecnico-stilistica in direzione del Divisionismo nata dal confronto con i colleghi Nomellini, Morbelli e Segantini.
Con importanti prestiti di collezioni private e prestigiose istituzioni museali nazionali, l'esposizione illustrerà le diverse sfaccettature della produzione di Pellizza capace di coniugare armoniosamente e coerentemente naturalismo e simbolismo.
La mostra di Giuseppe Pellizza da Volpedo alla Galleria d'Arte Moderna di Milano è una rara e preziosa esposizione monografica sul pittore piemontese, che consentirà di scoprire l'animo sensibile, il carattere determinato, l'impegno politico, il talento artistico che fecero di Pellizza uno dei più importanti interpreti dell'arte italiana a cavallo tra Otto e Novecento.
La mostra di Edvard Munch a Palazzo Reale di Milano offre l'imperdibile occasione di approfondire la conoscenza di uno dei più importanti interpreti della pittura europea a cavallo tra XIX e XX secolo, che ha saputo rielaborare gli stimoli della pittura del proprio tempo dando vita a un'arte personalissima ma al contempo in grado di rappresentare le angosce e le paure del genere umano.
Profondamento turbato dai lutti familiari - la morte per tubercolosi della madre e della sorella maggiore quando era ancora bambino e la successiva scomparsa del padre, medico dalla fede religiosa rigorosissima - Munch riversò la propria sofferenza in una pittura tragica e malinconica che, partendo da premesse naturalistiche, giunse a immagini sempre più visionarie, in sintonia con il Simbolismo europeo.
Organizzata in collaborazione con il Munch Museet di Oslo, l'istituzione che presenta la più ampia raccolta al mondo di opere dell'artista, l'esposizione di Palazzo Reale a Milano ripercorre l'intera carriera di Munch evidenziando l'influenza esercitata su di lui dagli artisti conosciuti a Parigi, quali Toulouse-Lautrec, Degas, Van Gogh e Gauguin, che lo indirizzarono verso una tecnica essenziale e una stesura bidimensionale, con ampie zone non campite, particolarmente adatta a esprimere i sentimenti di sofferenza e di angoscia provati dall'artista.
Temi quali malattia, pazzia, amore e morte risultano veicolati attraverso precise soluzioni formali, quali ardite fughe prospettiche, accensioni cromatiche e ombre minacciose, che fanno di Munch un artista capace di visualizzare sentimenti ed emozioni con un'intensità raramente eguagliata.
La mostra di Munch a Palazzo Reale a Milano sarà un viaggio alla scoperta di uno dei più originale interpreti della pittura europea, che, attraverso i traumi della propria esistenza, ha saputo rappresentare le paure e le ossessioni dell'essere umano, ponendosi così come precursore dell'Espressionismo e del Surrealismo.
La mostra di Antonio Mancini a Milano, ospitata negli spazi della Galleria d'Arte Moderna, intende omaggiare uno dei più importanti artisti italiani dell'Ottocento evidenziandone al contempo il ruolo di precoce e sensibile interprete delle inquietudini del Novecento.
Di natali romani, Antonio Mancini compie la propria formazione artistica a Napoli, a contatto con due maestri che segnano l'affermazione del realismo nella pittura italiana, Domenico Morelli e Filippo Palizzi. Il legame con Napoli è evidente nella scelta di fare degli scugnizzi i protagonisti della sua pittura. I ritratti infantili velati di malinconia, molto lontani dall'aneddotica pittura di genere tardoromantica, caratterizzeranno infatti la sua produzione decretando il suo successo a Parigi e a Londra.
Nonostante l'apprezzamento di critica e pubblico, l'esistenza di Mancini è segnata dall'instabilità economica che assieme alla malattia determina le crisi nervose che lo costringeranno a un periodo di cura presso un manicomio napoletano. Ristabilitosi, Mancini si trasferisce a Roma, dove i contatti con importanti collezionisti stranieri rinnovano la sua popolarità all'estero cui seguono i primi riconoscimenti in Italia.
Partendo dagli splendidi dipinti manciniani della Collezione Grassi, l'esposizione milanese ripercorre la vita e l'opera del grande artista romano rivelando la sua capacità di ritrarre con verità e sentimento la vita popolare e il suo grande sperimentalismo tecnico e stilistico fatto di stesure grumose, febbrili e polimateriche che traducono le inquietudini vissute dall'artista.
La mostra di Antonio Mancini alla Galleria d'Arte Moderna di Milano è un'occasione imperdibile per ammirare l'opera di un artista che ha traghettato il Realismo ottocentesco verso le forme espressive del Novecento senza mai tradire il naturalismo della sua formazione.
La mostra "Sulla via della Serenissima. La pittura di realtà tra Milano e Venezia" presso Palazzo Reale a Milano indaga il panorama artistico lombardo del Cinquecento sui cui presupposti si fonda la rivoluzione naturalistica di Caravaggio.
Particolare oggetto di attenzione della mostra sarà la produzione degli artisti delle città di Bergamo e Brescia, che dopo un lungo periodo di dominazione da parte dei Visconti, negli anni venti del Quattrocento entrarono a far parte della Repubblica di Venezia. Le vicende politiche delle due città lasciarono il loro riflesso sulla cultura figurativa dell'epoca, segnata dalla commistione tra il naturalismo del Rinascimento lombardo, veicolato dall'opera di Foppa e Bergognone e rinsaldato dalle ricerche di Leonardo, e il tonalismo e colorismo veneto di grandi maestri quali Bellini, Giorgione e Tiziano.
Tra i protagonisti di quella fortunata stagione vanno menzionati Savoldo, Moretto, Romanino e Moroni, dei quali, durante i suoi anni di formazione, Caravaggio poté ammirare le dolci intonazioni dei temi sacri, che preannunciano la pittura della Controriforma, e la sensibilità descrittiva e introspettiva dei ritratti, che nel Settecento avrà un degno erede in Giacomo Ceruti, detto il Pitochetto.
Ispirandosi alla celebre mostra del 1953 "I pittori della realtà in Lombardia", curata dagli illustri storici dell'arte Roberto Longhi e Giovanni Testori, la mostra "Sulla via della Serenissima" a Palazzo Reale a Milano riannoda i fili che durante il Rinascimento legarono Milano e Venezia dando vita a una fortunata stagione artistica senza la quale la pittura di Caravaggio non avrebbe avuto luogo.