San Vittore al Corpo e il Mausoleo imperiale


 

 

Costruita sui resti di un'antica basilica del IV secolo d.C., la chiesa di San Vittore al Corpo di Milano si contende con la Basilica di Sant'Eustorgio e la Basilica di San Lorenzo la possibile identificazione con la storica e antica basilica Porziana.

 

Di certo, sorge su un'area molto antica: la chiesa di San Vittore è infatti già nominata negli scritti di Sant'Ambrogio e la dicitura "al Corpo" deriva dal fatto che la chiesa sorge su un'antica area cimiteriale cristiana, posta al di fuori delle mura dell'antica città di Milano. A quell'epoca sorgeva in loco una basilica paleocristiana, che venne poi sostituita da un nuovo luogo di culto nel IX secolo.

 

Nel Cinquecento il complesso passa nelle mani degli Olivetani che lo ristrutturarono completamente, affidando i lavori a grandi architetti del tempo, come Vincenzo Seregni e poi Galeazzo Alessi, che diedero all'edifico un'impronta tardo rinascimentale.

L'interno presenta dodici cappelle decorate a stucco, che conservano pregiati affreschi delle grande scuola del Seicento milanese legata all'istituzione dell'Ambrosiana.

 

Negli anni '50 e '60 del Novecento, alcuni importanti scavi archeologici hanno portato alla luce il Mausoleo imperiale: questa struttura, di forma ottagonale e pavimentata in mattoni ed opus sectile e decorato con mosaici e tarsie marmoree, era nata per accogliere le spoglie di Massimiano Erculeo, imperatore dell'Impero Romano d'Occidente e residente a Milano, una delle capitali imperiali dell'epoca. Vi vennero poi sepolti gli imperatori Valentiniano II e forse Graziano e addirittura Teodosio. Il mausoleo aveva un enorme recinto protettivo, le cui pareti intervallate da torrette si ergevano fino all'attuale zona del Museo della Scienza e della Tecnica, i cui chiostri sono proprio quelli dell'antico monastero di San Vittore.

 

La visita guidata alla chiesa di San Vittore al Corpo è quindi un vero e proprio viaggio nella storia di Milano, dall'epoca romana fino ai restauri novecenteschi di Piero Portaluppi.